La violenza sessuale è un delitto commesso da chi usa la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione costringendo un soggetto, con atti, prevaricazione o minaccia (esplicita o implicita) a compiere o a subire atti sessuali contro la propria volontà. Talvolta si definisce violenza carnale, o stupro (nel caso abbia luogo un rapporto sessuale). In Italia la violenza sessuale è punita dagli artt. 609-bis e seguenti del codice penale von la pena della reclusione da 5 a 10 anni. L'art. 609-ter inoltre prevede tutta una serie di circostanze che aggravano la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni. Tra le circostanza vi sono ad esempio l’aver commesso il fatto nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici o con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze lesive della salute della persona offesa. Come visto, gli artt. 609-bis e seguenti del codice penale puniscono non solo lo stupro - inteso come congiunzione carnale non consensuale - ma più in generale qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali. Nel tempo la giurisprudenza ha interpretato il concetto di “atti sessuali” in modo via via più estensivo. Su questa scia, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione dell’8 settembre 2020 ha ampliato il raggio della norma occupandosi di social e di app per i messaggi di testo (what-sapp ecc). Partiamo dalla vicenda processuale:Il Gip del Tribunale di Milano ha applicato all’indagato la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di violenza sessuale nei confronti di una minore (artt. 609-bis e 609-ter c.p.), ritenendo dimostrato che egli aveva scritto una serie di messaggi di whatsapp allusivi e sessualmente espliciti a una ragazza, minore di età, costringendola a scattarsi foto e ad inoltrare una foto senza reggiseno nonché a ricevere una foto ritraente il membro maschile e commentarla, sotto la minaccia di pubblicare la chat su Instagram e su pagine hot.Il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare.Avverso questo provvedimento, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il fatto non integrava il reato di violenza sessuale, ma al più quello di adescamento di minorenni punito dall'art. 609-undecies c.p.: secondo la prospettazione difensiva che mancava l'atto sessuale, non essendo avvenuto alcun incontro tra l’indagato e la presunta persona offesa.La decisione della Corte di Cassazione ((Cassazione penale, sezione III, sentenza 8 settembre 2020, n. 25266) è stata rivoluzionaria: i Giudici hanno stabilito che, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, il reato di violenza sessuale è pienamente integrato, quando gli atti sessuali coinvolgono comunque la corporeità sessuale della persona offesa e sono finalizzati soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale nonché idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale. Nella pratica la ragazzina non ha liberamente scelto di inviare le immagini hot, ma è stata forzata dall’atteggiamento e dalle minacce dell’uomo. È stato anche osservato che, perchè si configuri il reato di violenza sessuale, in assenza di contatto tra vittima e colpevole, ma tramite comunicazione a distanza, è necessario accertare: a. da un lato, l'univoca intenzione di soddisfare la propria pulsione sessuale e, b. dall'altro lato, l'oggettiva idoneità della condotta a costringere la vittima all’inoltro delle immagini spinte. La condotta del colpevole deve essere tale da violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima. Non sarà sufficiente quindi una semplice richiesta di materiale pornografico, ma deve trattarsi di una o più rischieste tanto insistenti e intimorenti da non lasciar scelta alla vittima. Con la sentenza illustrata, la Corte di cassazione ha quindi stabilito che il reato di violenza sessuale è configurabile anche in mancanza di un contatto tra il reo e la vittima.he l’invio di foto hard via Whatsapp può configurare violenza sessuale
La violenza sessuale è un delitto commesso da chi usa la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione costringendo un soggetto, con atti, prevaricazione o minaccia (esplicita o implicita) a compiere o a subire atti sessuali contro la propria volontà. Talvolta si definisce violenza carnale, o stupro (nel caso abbia luogo un rapporto sessuale).
In Italia la violenza sessuale è punita dagli artt. 609-bis e seguenti del codice penale von la pena della reclusione da 5 a 10 anni.
L'art. 609-ter inoltre prevede tutta una serie di circostanze che aggravano la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni. Tra le circostanza vi sono ad esempio l’aver commesso il fatto nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici o con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze lesive della salute della persona offesa.
Come visto, gli artt. 609-bis e seguenti del codice penale puniscono non solo lo stupro - inteso come congiunzione carnale non consensuale - ma più in generale qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali.
Nel tempo la giurisprudenza ha interpretato il concetto di “atti sessuali” in modo via via più estensivo. Su questa scia, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione dell’8 settembre 2020 ha ampliato il raggio della norma occupandosi di social e di app per i messaggi di testo (what-sapp ecc).
Partiamo dalla vicenda processuale:
Il Gip del Tribunale di Milano ha applicato all’indagato la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di violenza sessuale nei confronti di una minore (artt. 609-bis e 609-ter c.p.), ritenendo dimostrato che egli aveva scritto una serie di messaggi di whatsapp allusivi e sessualmente espliciti a una ragazza, minore di età, costringendola a scattarsi foto e ad inoltrare una foto senza reggiseno nonché a ricevere una foto ritraente il membro maschile e commentarla, sotto la minaccia di pubblicare la chat su Instagram e su pagine hot.
Il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare.
Avverso questo provvedimento, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il fatto non integrava il reato di violenza sessuale, ma al più quello di adescamento di minorenni punito dall'art. 609-undecies c.p.: secondo la prospettazione difensiva che mancava l'atto sessuale, non essendo avvenuto alcun incontro tra l’indagato e la presunta persona offesa.
La decisione della Corte di Cassazione ((Cassazione penale, sezione III, sentenza 8 settembre 2020, n. 25266) è stata rivoluzionaria: i Giudici hanno stabilito che, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, il reato di violenza sessuale è pienamente integrato, quando gli atti sessuali coinvolgono comunque la corporeità sessuale della persona offesa e sono finalizzati soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale nonché idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale.
Nella pratica la ragazzina non ha liberamente scelto di inviare le immagini hot, ma è stata forzata dall’atteggiamento e dalle minacce dell’uomo.
È stato anche osservato che, perchè si configuri il reato di violenza sessuale, in assenza di contatto tra vittima e colpevole, ma tramite comunicazione a distanza, è necessario accertare:
a. da un lato, l'univoca intenzione di soddisfare la propria pulsione sessuale e,
b. dall'altro lato, l'oggettiva idoneità della condotta a costringere la vittima all’inoltro delle immagini spinte. La condotta del colpevole deve essere tale da violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima. Non sarà sufficiente quindi una semplice richiesta di materiale pornografico, ma deve trattarsi di una o più rischieste tanto insistenti e intimorenti da non lasciar scelta alla vittima.
Con la sentenza illustrata, la Corte di cassazione ha quindi stabilito che il reato di violenza sessuale è configurabile anche in mancanza di un contatto tra il reo e la vittima.
