Principio fondamentale dell’ordinamento italiano è quello della presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.): nessuno deve essere ritenuto colpevole finchè a stabilirlo non sia una sentenza definitiva passata in giudicato.
Tuttavia, in presenza di determinati requisiti, l’ordinamento prevede che l’indagato o l’imputanto possano essere detenuti in carcere ben prima della condanna definitiva.
A norma dell’art. 285 c.p.p. il Giudice ha la facoltà di disporre delle misure coercitive (tra cui la carcerazione preventiva in carcere) dell’indagato o dell’imputato qualora ricorrano i seguenti requisiti:
· esistenza di gravi indizi di colpevolezza;
· rischio concreto di reiterazione del reato;
· pericolo di fuga;
· possibile inquinamento delle prove.
Queste motivazioni per essere valide ai fini della custodia cautelare devono essere accertate in concreto. Inoltre, per poter richiedere questa misura bisogna provare che qualsiasi altro strumento sia inadeguato per evitare che si venga a creare una delle situazioni suddette.
Nell’applicare la custodia cautelare il giudice deve inoltre rispettare due principi essenziali:
· principio di adeguatezza: per il quale la misura cautelare deve essere adeguata alla condizione da tutelare. Ad esempio se sono sufficienti gli arresti domiciliari per scongiurare l’inquinamento delle prove o il pericolo di fuga il giudice non potrà disporre la custodia cautelare;
· principio di proporzionalità: la misura deve essere proporzionata all’entità del fatto, alla sanzione che è già stata inflitta o a quella che si ritiene irrogabile.
Nel caso di specie gli indagati della tragedia del Mottarone sono stati scarcerati dalla custodia preventiva in carcere poichè il GIP non ha ritenuto sussistenti i requisiti prescritti dalla lagge.
