Ha fatto discutere la vignetta satirica del fumettista Mario Natangelo per commentare l’abbandono del partito “Forza Italia” della parlamentare Laura Ravetto.
Abbiamo quindi deciso di analizzare il diritto di satira e di capire quali sono i suoi limiti.
La satira è una forma di comunicazione, dalle origini molto antiche, che critica utilizzando l’ironia e “la presa in giro” costume, politica e società.
Fare satira significa fare polemica con sarcasmo, ironia e spesso anche con comicità attraverso uno spettacolo, una vignetta, un’opera letteraria.
Per utilizzare le parole della Suprema Corte di Cassazione “la satira è una forma artistica che mira all’ironia sino al sarcasmo, esercitato nei confronti del potere di qualsiasi natura. Tale forma di comunicazione rientra nel diritto di manifestazione del pensiero riconosciuto dalla Costituzione all’art. 21 e gode della tutela riservata dal costituente alle espressioni artistiche e culturali (art. 9 e 33 della Costituzione).
L’esercizio del diritto di satira consiste nell’esercizio in forma sarcastica ed ironica del diritto di critica.
La satira è dunque, sia espressione della libertà di parola e del diritto di critica sia espressione artistica ed è primariamente tutelata dalla Costituzione, al pari del diritto di cronaca.
Talvolta accade però che la satira leda altri diritti, altrettando garantiti dalla Costituzione.
Il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non può infatti essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta ma è necessario porre dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e della dignità della persona, evitando aggressioni morali ingiustificate.
La linea è estremamente sottile.
Affinchè la satira sia dunque “legale” deve dunque sottostare a specifiche regole.
La satira è innanzitutto soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.
In altre parole, il satiro non può insultare, inveire o offendere a suo piacimento ed in modo sterile ma l’insulto deve essere finalizzato a una denunica sociale o politica, deve fare riflettere.
Secondo la Corte di Cassazione “nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato” (Cassazione n.30193/2018).
La satira, diversamente dalla cronaca, è inoltre sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto o un personaggio.
È vero che la satira per essere efficace, quasi sempre, attua una deformazione della realtà, ricorre al paradosso ed alla forzatura dei toni. Tuttavia, non è accettabile un attacco gratuito alla persona. Tale il principio è chiaramente affermato dalla Suprema Corte, secondo la quale la satira, al pari di ogni altra forma di comunicazione, non può violare i diritti fondamentali della persona: è quindi illecita l’attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona o scherno della sua immagine pubblica.
Pertanto il diritto alla satira che realizza un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore della reputazione del politico o personaggio pubblico preso di mira può configurare il reato di diffamazione.
I giudici dovranno dunque di caso in caso operare un bilanciamento e verificare la prevalenza della libertà di manifestazione del pensiero e di critica (del satiro) o l’onore e la reputazione (dell’offeso).
