Esiste un diritto ai rapporti sessuali tra coniugi?Si tratta di un tema molto attuale anche se comunemente non trova ampia discussione sociale per via del normale imbarazzo che si prova nel rivelare le confidenze del proprio letto. Recentemente tuttavia la Corte di Cassazione con la sent. N. 17676/2019 è intervenuta sul punto. Prima di svelare la soluzionn adottata dalla Suprema Corte è però interessante ripercorrere storicamente il tema del diritto al sesso tra i coniugi. Un tempo, forse per perchè ci si sposava in età più giovane o forse perchè i giovani erano più fedeli ai dettami del cattolicesimo, era consuetudine attendere il matrimonio prima di consumare il rapporto sessuale. E’ chiaro quindi che l’atto sessuale costituiva dunque una delle componenti principali del rapporto coniugale. Era inoltre socialmente accettato che, in presenza di un rifiuto infiustificato da parte della moglie ad avere rapporti sessuali con il marito, quest’ultimo potesse addirittura ripudiarla.Il “diritto/dovere ai rapporti sessuali nel matrimonio” emerge anche dalla lettera della legge sul divorzio (la L. 898/1970), la quale all’art. 3 ravvisa tra le possibili cause di scioglimento del matrimonio, senza bisogno di precedente separazione, il difetto della sua consumazione. La legge tuttavia, benchè disciplini pressochè ogni aspetto della vita quotidiana non menziona ne disciplina mai espressamente i rapporti sessuali tra coniugi. Forse la causa dell’omissione è ravvisabile nel pudore del legislatore del 1942, anno cui risale l’attuale codice civile che regola i rapporti tra i componenti della famiglia. La giurisprudenza tuttavia ha più volte ribadito che nonostante non sia esplicitamente menzionato trai i diritti e i doveri coniugali previsti dall’art. 143 c.c., il sesso è pacificamente ricompreso tra i doveri di assistenza morale e materiale imposti dal codice civile.Secondo numerose sentenze, se non ci sono motivi che lo giustifichino, il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge è illegittimo. Il dovere di assistenza morale, previsto esplicitamente all’art. 143 c.c. , consiste infatti nel soddisfare le reciproche necessità, che non sono esclusivamente economiche ma anche fisiche, emotive ed affettive.Per la legge il rifiuto di avere rapporti sessuali rappresenta la manifestazione della volontà a non adempiere a un dovere coniugale.Il rifiuto ingiustificato ad avere rapporti sessuali dunque, costituisce violazione dei doveri coniugali e come qualsiasi altra violazione dei di tali doveri potrà condurre all’addebito della separazione al coniuge inadempiente. In termini pratici cosa significa? Il coniuge “freddo”, e quindi colpevole, si vedrà addebitata la separazione e perderà il diritto a percepire l’assegno di mantenimento. 1 In relazione alla frequenza dei rapporti stessi, bisogna affidarsi al buon senso e a una “normale” vita sessuale. Ovviamente nessun problema sorge qualora vi sia consenso tra i coniugi sull’asistinenza sessuale. Le questioni nascono solo quando il consenso non si trova e uno dei due è soggetto a pulsioni che l’altro non ha.Ed è proprio in tema di consenso al rapporto sessuale che la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17676/2019 ha cambiato orientamento rispetto al passato. In questa occasione gli Ermellini avvertono che non esiste un diritto all’amplesso in relazione al rapporto coniugale e non si può imporre o esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner. Integra il reato di violenza sessuale ex art. 609 c.p. nella forma “per costrizione” qualunque forma di costrizione psico – fisica che incida sulla libertà di autodeterminazione altrui, compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare l’obbligo della vittima a subire gli atti sessuali.Facciamo un esempio: Se una moglie che accetta il rapporto sessuale chiesto con insistenza dal marito, brusco e violento, e lo fa perché ha paura di conseguenze peggiori, magari di essere lasciata o essere picchiata : in queste ipotesi, pur trovandoci all’interno di un rapporto matrimoniale in cui è pacifico il diritto/dovere al rapporto sessuale tra coniugi, si configura il reato di violenza sessuale. La Corte conclude inoltre sostenendo che “Non esclude l’esistenza del crimine il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali”.In conclusione, se da un lato è vero che il costante e ingiustificato diniego ad avere rapporti sessuali da diritto a domandare la separazione con addebito al partner “freddo”, dall’altro lato l’insistenza o la costrizione del partner focoso potrebbe portare al consumarsi del reato di violenza sessuale. E’ opportuno infine sottolineare che quanto spiegato sinora per i coniugi vale anche per i componenti delle unioni civili in quanto la legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) ha esteso l’obbligo di assistenza morale e materiale anche alle coppie unite da unione civile. Lawpills per Torcha ITTO AL SESSO TRA CONIUGI
Esiste un diritto ai rapporti sessuali tra coniugi?
Si tratta di un tema molto attuale anche se comunemente non trova ampia discussione sociale per via del normale imbarazzo che si prova nel rivelare le confidenze del proprio letto.
Recentemente tuttavia la Corte di Cassazione con la sent. N. 17676/2019 è intervenuta sul punto.
Prima di svelare la soluzionn adottata dalla Suprema Corte è però interessante ripercorrere storicamente il tema del diritto al sesso tra i coniugi.
Un tempo, forse per perchè ci si sposava in età più giovane o forse perchè i giovani erano più fedeli ai dettami del cattolicesimo, era consuetudine attendere il matrimonio prima di consumare il rapporto sessuale.
E’ chiaro quindi che l’atto sessuale costituiva dunque una delle componenti principali del rapporto coniugale.
Era inoltre socialmente accettato che, in presenza di un rifiuto infiustificato da parte della moglie ad avere rapporti sessuali con il marito, quest’ultimo potesse addirittura ripudiarla.
Il “diritto/dovere ai rapporti sessuali nel matrimonio” emerge anche dalla lettera della legge sul divorzio (la L. 898/1970), la quale all’art. 3 ravvisa tra le possibili cause di scioglimento del matrimonio, senza bisogno di precedente separazione, il difetto della sua consumazione.
La legge tuttavia, benchè disciplini pressochè ogni aspetto della vita quotidiana non menziona ne disciplina mai espressamente i rapporti sessuali tra coniugi.
Forse la causa dell’omissione è ravvisabile nel pudore del legislatore del 1942, anno cui risale l’attuale codice civile che regola i rapporti tra i componenti della famiglia.
La giurisprudenza tuttavia ha più volte ribadito che nonostante non sia esplicitamente menzionato trai i diritti e i doveri coniugali previsti dall’art. 143 c.c., il sesso è pacificamente ricompreso tra i doveri di assistenza morale e materiale imposti dal codice civile.
Secondo numerose sentenze, se non ci sono motivi che lo giustifichino, il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge è illegittimo.
Il dovere di assistenza morale, previsto esplicitamente all’art. 143 c.c. , consiste infatti nel soddisfare le reciproche necessità, che non sono esclusivamente economiche ma anche fisiche, emotive ed affettive.
Per la legge il rifiuto di avere rapporti sessuali rappresenta la manifestazione della volontà a non adempiere a un dovere coniugale.
Il rifiuto ingiustificato ad avere rapporti sessuali dunque, costituisce violazione dei doveri coniugali e come qualsiasi altra violazione dei di tali doveri potrà condurre all’addebito della separazione al coniuge inadempiente.
In termini pratici cosa significa? Il coniuge “freddo”, e quindi colpevole, si vedrà addebitata la separazione e perderà il diritto a percepire l’assegno di mantenimento. 1
In relazione alla frequenza dei rapporti stessi, bisogna affidarsi al buon senso e a una “normale” vita sessuale.
Ovviamente nessun problema sorge qualora vi sia consenso tra i coniugi sull’asistinenza sessuale. Le questioni nascono solo quando il consenso non si trova e uno dei due è soggetto a pulsioni che l’altro non ha.
Ed è proprio in tema di consenso al rapporto sessuale che la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17676/2019 ha cambiato orientamento rispetto al passato.
In questa occasione gli Ermellini avvertono che non esiste un diritto all’amplesso in relazione al rapporto coniugale e non si può imporre o esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner.
Integra il reato di violenza sessuale ex art. 609 c.p. nella forma “per costrizione” qualunque forma di costrizione psico – fisica che incida sulla libertà di autodeterminazione altrui, compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare l’obbligo della vittima a subire gli atti sessuali.
Facciamo un esempio:
Se una moglie che accetta il rapporto sessuale chiesto con insistenza dal marito, brusco e violento, e lo fa perché ha paura di conseguenze peggiori, magari di essere lasciata o essere picchiata : in queste ipotesi, pur trovandoci all’interno di un rapporto matrimoniale in cui è pacifico il diritto/dovere al rapporto sessuale tra coniugi, si configura il reato di violenza sessuale.
La Corte conclude inoltre sostenendo che “Non esclude l’esistenza del crimine il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali”.
In conclusione, se da un lato è vero che il costante e ingiustificato diniego ad avere rapporti sessuali da diritto a domandare la separazione con addebito al partner “freddo”, dall’altro lato l’insistenza o la costrizione del partner focoso potrebbe portare al consumarsi del reato di violenza sessuale.
E’ opportuno infine sottolineare che quanto spiegato sinora per i coniugi vale anche per i componenti delle unioni civili in quanto la legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) ha esteso l’obbligo di assistenza morale e materiale anche alle coppie unite da unione civile.
