Amici, compagni di vita, di chi sto parlando? Dei nostri animali da compagnia.
Chi possiede un cane, un gatto o un qualsiasi altro animale non potrà che essere d’accordo.
L’importanza dei cosiddetti “animali da affezione” è divenuta talmente grande da non essere passata inosservata nemmeno al legislatore che ha pensato di introdurre una serie di norme volte a sanzionare penalmente tutte le condotte che cagionino dolore o sofferenza agli amici a quattro zampe (e non solo).
L’art. 544 ter del codice penale punisce con la reclusione da 3 a 18 mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro chiunque per crudeltà e senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
La pena è aumentata della metà se da questi fatti deriva la morte dell’animale. La stessa pena si applica inoltre a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi .
Ma quando possiamo dire che, concretamente, un animale sia stato maltrattato?
Secondo la giurisprudenza, i comportamenti insopportabili imposti all’animale idonei ad integrare il reato di maltrattamento sono quelli incompatibili con le caratteristiche etologiche proprie della specie di riferimento.
Ad esempio utlizzare un cane per trasportare un’otre d’acqua durante una passeggiata in montagna sarà maltrattamento, mentre non lo sarà se a trasportare il liquido è un mulo da soma.
In pratica si configurerà il reato di maltrattamento ogni volta che l’animale sia tenuto in condizioni tali da ledere la sua salute.
Dalle varie sentenze sul punto emerge che i giudici hanno di volta in volta considerato “maltrattamento” azioni diverse tra loro ma accomunate dalla sofferenza provocata all’animale: si va dalla denutrizione alle cattive condizioni igieniche; dalla stato di abbandono alle punizioni corporali; dall’allontanamento dei cuccioli dalla madre in età prematura all’uso di un guinzaglio troppo corto o stretto per un periodo di tempo eccessivo; dall’assenza di cuccia o riparo dalle intemperie al tenere l’animale rinchiuso in casa o in altri luoghi troppo a lungo.
Diverso è invece il reato di abbandono di animali sanzionato dall’art. 727 c.p. con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1000 a 10.000 euro chi abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Secondo la legge, quindi, l’abbandono di animali non consiste solamente nella condotta tipica del liberarsi di un animale, lasciandolo sul ciglio della strada oppure in un luogo sconosciuto così che non possa trovare la via di casa, ma anche nella condotta “omissiva” del non prendersi cura dell’animale, lasciandolo in balia di se stesso, anche se in un luogo chiuso come può essere una cuccia oppure la propria abitazione.
Si pensa ad un cane lasciato per giorni sul balcone, senza acqua sufficiente né cibo. Questo comportamento configura sicuramente il reato di abbandono di animale.
Sappiamo che durante il lockdown il numero degli animali da compagnia adottati e acquistati dagli italiani è aumentato esponenzialmente. Speriamo che questi animali ricevano tutte le cure, l’amore e le attenzioni che meritano.
Tuttavia è interessante sapere che se si assiste ad uno di questi reati, occorre recarsi dalle forze dell’ordine (indifferentemente polizia, carabinieri o procura) e denunciare il fatto. Tutti i delitti contro gli animali sono procedibili d’ufficio, nel senso che chiunque vi assista può segnalare il fatto alle autorità competenti. D’altronde, non potrebbe essere diversamente, visto che le povere vittime di questi crimini non possono farsi giustizia da sé, nel senso che non possono denunciare l’accaduto.
